Psicologia patologica -cap 6 - 7 -8 - psicologia e organizzazione aziendale

Vai ai contenuti

Menu principale:

Psicologia patologica -cap 6 - 7 -8

Articoli scientifici

Da psicologia


Per ulteriori informazioni o consulenze: telefonare al 3455047320 o scriverci.


di Massimo Pivano

Capitolo 6 – Il concetto del dispositivo di vulnerabilità
Con il termine dispositivo facciamo riferimento a quei fenomeni che rappresentano l’esistenza umana .
Come scrive il saggista Gottfriend  Benn " L’Io è il tardo stato d’animo della natura e addirittura uno stato d’animo fuggevole  [….] ma non è uno di quei fatti primari, di sconvolgente chiarezza, con cui ebbe inizio l’umanità. Appartiene piuttosto a quei dati di fatto condizionati che hanno una storia" . Quindi l’IO non è un datum ma un compito, non un possesso sicuro, ma una posizione da riconquistare senza sosta.
Il conflitto tra pulsioni sessuali e morali è la condizione di sopravvivenza della specie umana, come direbbe Freud. La nozione di dispositivo di vulnerabilità può declinarsi nel termine "dispositivo patogeno" con il quale enfatizza il versante psicopatologico.  Nell’anamnesi i dispositivi di vulnerabilità  indicano dove andare a cercare i punti di svolta, gli snodi cruciali per lo svilupparsi dei quadri morbosi.  Quindi ci servono  per tracciare un percorso psicopatologico.  
Questi dispositivi di vulnerabilità di cui ci occuperemo , sono : conflitto, trauma, umore e coscienza.
Capitolo 7 – Conflitto
Il conflitto è un fenomeno ubiquitario nella esistenza dell’umanità, forse quello più capace di cogliere la cifra fondamentale dell’uomo come cittadino di due mondi. Come fenomeno clinico è considerato dalla psicoanalisi come snodo patogenico fondamentale nel percorso psicopatologico. Il conflitto rappresenta la contrapposizione tra due istanze o esigenze contrastanti. Un esempio può essere la crisi che accoglie la persona nell’accingersi a sposarsi, cioè il bisogno di rispettare la parola data e il dopo nel talamo coniugale. Possiamo parlare di principio dinamico in senso stretto.  Esiste, quindi, una dialettica tra istanze psichiche contrapposte la cui indagine permette di comprendere l’origine e il senso dei sintomi patologici in quanto formazioni di compromesso; la patologia mentale è il risultato di un gioco di forze, della rottura di un equilibrio e rappresenta il tentativo di ristabilire l’equilibrio tra il sintomo e la vita normale. Secondo il principio dinamico nessun malato lo è completamente ma vi è uno scarto tra malattia e malato ed è proprio si questo punto che si può intervenire. Questa coincidenza del Sé con se stesso è alla base della capacità umana di auto-coscienza e di auto-riflessione, quindi essere spettatore di se stesso.
Eredità psicoanalitica
Anche se ci spostiamo dal patogeno a quello patoplastico dei meccanismi di difesa la nozione di conflitto resta un contributo essenziale della psicologia dinamica alle scienze dell’uomo.  Un polo di conflitto è rappresentato sempre dalle pulsioni sessuali.  In una prima fase  Freud alla sessualità oppone le aspirazioni dell’Io come si può notare negli studi sull’isteria del 1895, dove man mano che ci si avvicina col processo di cura  a ricordi patogeni di natura sessuale, si incontra una resistenza crescente. Lo stesso discorso vale nell’ Interpretazione dei sogni dove Freud espone la cosiddetta prima topica o modello topografico cioè la suddivisione dell’apparato psichico in tre sottosistemi: conscio, preconscio e inconscio. Tramite la nozione di conflitto si configura una concezione dinamica della vita psichica sia patologica che non, risultante dalla contrapposizione di un campo d forze ciascuna esercitante una propria spinta. Il conflitto tra le pulsioni sessuali inconsce e la coscienza rappresenta la radice dei diversi problemi  psicopatologici, e in una seconda fase le pulsioni si contrappongono alle cosiddette pulsioni dell’io o di autoconservazione. Sono le pulsioni necessarie alla conservazione della vita di un individuo e costituiscono i bisogni primari non sessuali dell’individuo. Le pulsioni di autoconservazione possono essere soddisfatte soltanto da un oggetto reale e quindi sono regolate dal principio di realtà a differenza di quelle sessuali che obbediscono al principio del piacere. Una terza fase del conflitto è ricondotto al dualismo tra pulsioni di vita e di morte. Le pulsioni di vita (eros) comprendono le pulsioni sessuali, quelle di autoconservazione, il narcisismo e la socialità. Mentre la pulsione di morte (thanatos) è la tendenza al ritorno alla pace dell’inorganico e si manifesta dell’aggressività e nel sadismo e Freud la indica come disimpasto (triebentmischung). Quella di vita  viene concepita come la tendenza a unire.
 Il conflitto e l’ansia
Secondo Freud l’umano è perennemente in conflitto con se stesso e tale conflitto genera ansia. L’ansia fa attivare  i meccanismi di difesa, la cui azione porta ad un compromesso tra le parti in conflitto. Queste formazioni di compromesso rappresentano, in alcuni casi, delle soluzioni adattative mentre in altri sono costituite da sintomi e quadri psicopatologici. L’ansia è un segnale adattativo che mette in moto le difese dell’IO finalizzate ad allontanare dalla coscienza pulsioni, sentimenti e pensieri inaccettabili. In questo senso lo sviluppo è normale. Secondo Freud , l’inquietudine nasce dal diffuso senso di un desiderio rimosso dal quale derivano le tensioni dovute ad un accumulo biologico delle stesse e inibite ma non cancellate. In questa accezione l’ansia è una concettualizzazione di un segnale adattativo che mette in moto le difese dell’IO il cui scopo è allontanare dalla coscienza pulsioni, sentimenti e pensieri inaccettabili. In una fase successiva l’ansia finisce  con l’indicare ogni emozione negativa e quindi vengono a meno le differenze tra emozioni diverse (rabbia, vergogna, ansia in senso stretto ) che scaturiscono dal conflitto. Del resto la parola meccanismo rimanda al concetto di congegni automatici concettualizzati all’interno di un modello tipo stimolo-risposta. Nella letteratura successiva all’opera di Anna Freud, l’accento si è spostato dal ruolo patogenico del conflitto alla definizione di nevrosi e dei disturbi di personalità in quanto caratterizzati da specifici meccanismi di difesa. Quindi la tendenza al conflitto viene considerata come la tendenza a considerare i quadri morbosi sulla base di meccanismi di difesa implicati integrati da una analisi dei conflitti delle emozioni in gioco. Un contributo ci è dato dalla Diagnosi Psicodinamica Operazionalizzata (OPD) che stabilisce definizioni chiare e una procedura di assestment sistematica dei conflitti che possono essere così riassunti:Dipendenza vs autonomia centrato sul significato esistenziale dell’attaccamento. Sottomissione vs controllo il cui tema esistenziale è l’autocontrollo, irritazione, rabbia, paura . Accudimento vs autarchia che è il conflitto tra l’utilizzare gli altri per ottenere qualche cosa e l’essere totalmente autosufficienti   e se il lutto è prolungato porta alla depressione. Valorizzazione del sé vs valorizzazione dell’altro si tratta di conflitti narcisistici che ruotano attorno al tema esistenziale dell’autostima. ("io non valgo nulla") e la rabbia così detta narcisistica ("tu non vali nulla"). Tendenze egoistiche vs tendenze pro-sociali è il conflitto tra l’individuare la colpa in se stessi oppure negli altri. Conflitti edipico-sessuali i cui bisogni di natura sessuale si scontrano con istanze opposte di diversa specie. Conflitti relativi all’identità che derivano da rappresentazioni contraddittorie del sé dove la persona assume ruoli sociali diversi e molteplici per superare l’insicurezza.
   Conflitto e antropologia psicoanalitica
Una piena comprensione della nozione di conflitto in quanto dispositivo patogenico necessita di un inquadramento antropologico . Sin dall’inizio della psicoanalisi, il tema per eccellenza del conflitto è la contrapposizione tra sessualità e morale: da un lato c’è il ricordo e dall’altro le norme morali fatte proprie dal soggetto. Si raggiunge il massimo di contrapposizione con la concettualizzazione  del complesso edipico che è considerato da Freud come un universale antropologico, cioè dei desideri amorosi e ostili rivolto verso i genitori con il relativo divieto morale dello stesso.  Ogni azione, per la psicoanalisi, è il risultato di un conflitto tra pulsioni diverse e tra le pulsioni e l’Io cosciente. Ciò rappresenta l’asse portante sia della strutturazione della personalità normale sia della genesi dei disturbi psicopatologici.  La libertà umana è una forma di opposizione al dominio delle pulsioni ciò avviene attraverso la presa di coscienza da parte dell’Io delle proprie pulsioni.  Le pulsioni sessuali sono una aporia con la morale e Freud individua nel primato delle pulsioni inconsce come determinanti del comportamento umano.   Se le pulsioni sono represse riaffiorano sotto forma di sintomi e nevrosi quindi la conquista da parte dell’Io non deve implicare la frustrazione delle pulsioni o la loro radicale repressione, ma la moderazione con l’instaurarsi di un equilibrio tra l’Io e le pulsioni. A partire da questa concezione si sviluppano due tes, a cui corrispondono due etiche e due modelli terapeutici. La prima afferma che la persona non può trovare la salute attraverso l’adeguamento con i modelli proposti dalla società a cui appartiene e l’altra afferma che la salute non è adattamento ai modelli sociali in voga, bensì libertà da tali modelli.  
Il conflitto come dispositivo antropologico
Fino dall‘800 è presente l’idea che la ragione sia il principio informatore della natura umana e l’elemento pulsionale acquista un ruolo di primo piano. Con la filosofia Hegeliana abbiamo il primato della ragione ma, subito dopo, il principio viene rovesciato e la ragione vengono esautorati dal loro primato a favore delle pulsioni.  Feuerbach, Kierkegaard, Schopenhauer, Nietzsche sono i principali promotori. Freud mette assieme la conflittualità umana con l’esistenza stessa. A partire dagli anni 20 dello scorso secolo, l’antropologia diventa scienza. Uomini come Scheler, Plessner e Gehlen sono i maggiori autori e la domanda che si pongono è come ci si differenza l’umano dall’animale e Scheler afferma che l’umano ha la possibilità di dire di no. Analogamente Gehlen afferma che l’umano  può prendere posizione rispetto alle proprie pulsioni
.
Eccesso pulsionale e difetto istintuale.
Nel "La posizione dell’uomo nel cosmo" , Scheler  distingue nettamente cinque gradi della vita u mana.  Il primo grado è caratterizzato come impulso affettivo estatico e si tratta di ritrarsi da una fonte di dolore per andare a una fonte di piacere.  Il secondo grado è caratterizzato dall’istinto. A differenza del precedente è indirizzato verso elementi dell’ambiente specie-specifici.  Mentre negli animali l’istinto è molto importante per la sua sopravvivenza, nell’uomo no ma è mediato in quanto non può basarsi totalmente su di essi. Il terzo grado della vita umana è detto memoria associativa grazie al quale nuovi orientamenti del  comportamento risultanti dall’apprendimento possono trasformare le abitudini.  Tra istinti e pulsioni vi sono delle differenze sostanziali: mentre gli istinti sono regolati in se stessi e dall’interno, le pulsioni devono essere regolate dall’esterno. La sessualità, ad esempio, sciolta dal ritmo istintuale delle esigenze biologiche, diventa una semplice pulsione una fonte del piacere autonomo. Il quarto grado della vita umana è detto i intelligenza pratica e si tratta di un sapere riflessivo dunque non istintuale volto al raggiungimento di uno scopo e la sua caratteristica principale è la capacità di attuare comportamenti inediti . Il quinto e ultimo grado della vita umana è lo spirito o persona spirituale e grazie ad esso può emanciparsi dal ruolo di servitore della vita.
Capacità di inibire e sublimare le pulsioni.
Per Scheler è lo spirito il principio di negazione della vita pulsionale. E’ quello che sa dire di no alla realtà, annullando così la totale sottomissione alle esigenze vitali che caratterizza l’esistenza animale.   Significa neutralizzare ogni dissidio ogni contrasto col mondo, l’attrito con il quale origina il nostro senso di realtà. Tramite le proprie azioni l’umano disciplina se stesso.
Eccentricità e posizionalità.
Disciplinare se stessi , darsi una forma non è una ridondanza dell’esistenza umana, ma una necessità.  Essere eccentrici vuol dire discostarsi dal proprio ambiente e da se stessi. L’umano può essere spettatore e attore sia del suo interno che del mondo che lo circonda e quindi può rappresentare se stesso in questa vita. Quindi la necessità di costruire il proprio mondo e la propria immagine ne risulta imprescindibile.

Conflitto e identità personale
La nozione di conflitto nasce per illustrare il contrasto tra istanze pulsionali-biologiche e morali – spirituali ed è in questa configurazione che si colloca e si configura nella antropologia filosofica di Scheler.  Tuttavia il conflitto non riguarda solo l’opposizione tra pulsione e morale , ma fa riferimento alla eccentricità e alla doppiezza della condizione  umana.  Essere doppi non è soltanto l’essere sospesi tra natura e cultura ma in virtù della propria eccentricità.  Il termine "homo duplex" è stato coniato da dal filosofo francese Maine de  Biran secondo cui l’umano ha una doppia appartenenza sia alla natura che alla identità. Questa doppiezza porta ad avere un perenne conflitto interiore che può sfociare in un sintomo psicopatologico. L’identità egoica e l’identità di ruolo  o i diversi ruoli sociali portano a una dialettica che se equilibrati risultano essere normali.

Il volontario e l’involontario
Il conflitto nell’ esistenza umana è fornito da Ricoeur nel saggio intitolato Il volontario e l’involontario del 1950. In esso si parte dalla constatazione che nell’esistenza umana si coglie una etereogenicità di motivi e una confusione di affetti. Tale essenza si riscontra nel principio del disordine e della indeterminazione dell’esistenza corporea, nella coesione dei valori sociali e nel contrasto tra le due sfere dell’involontario corporeo caratterizzato dai valori organici e vitali. Ciò che si verifica è l’ambiguità della vita organica e la complessità delle tendenze organiche.  Il corpo è dunque la fonte dell’indeterminazione della esistenza umana che Ricoeur definisce "principio di disordine e indeterminazione".  Dunque la condizione umana è caratterizzata dalla necessità e dalla possibilità di prendere una posizione di fronte alla sfera dei valori organici e sociali. Dunque non tutti i valori organici e sociali sono in conflitto fra di loro. L’Io penso significa, in primo luogo, che sto di fronte a me stesso al fine di valutare . Il pedofilo può essere totalmente identificato con la sua philia? Assolutamente no, sussiste sempre una persona che si pone di fronte alle sue pulsioni, da un lato, e ai valori sociali che gli sono opposti dall’altro. Quindi la libertà è "scelta di me stesso" e si tratta di una scelta condizionata che consiste nel ricevere ciò che è già disposto nel far proprio il destino e che Ricoeur paragona all’amor fati celebrato da Nietzsche. In sintesi nel volontario e involontario, Ricoeur formula una teoria in cui si dimostra l’essenza conflittuale  dell’esistenza umana insita nell’incoerenza dei valori sociali e nel contrasto tra due sfere dell’involontario che si colloca o si instilla al cuore umano. Per Freud la forma di libertà  possibile nell’esistenza umana consiste essenzialmente nella presa di coscienza da parte dell’Io, mentre Libet h mostrato che c’è un volontario a livello dell’involontario.

La nozione di conflitto e il modello dialettico della patologia mentale
La nozione di conflitto è la visione dell’uomo che vi sta alla base, cioè la fondamentale doppiezza della condizione umana e la possibilità dell’uomo di prendere posizione nei confronti di se stesso e rappresentano il fondamento del modello dialettico della visione fenologico-dinamica della malattia mentale. Nello stato primordiale dell’esistenza umana si manifestano necessità eterogenee, rivelatrici di valori discordanti; il rapporto tra questa complessità delle tendenze organiche e una analoga etereogenicità dei valori sociali introduce un ulteriore livello di conflitto. Pensare a una persona che in qualche modo possa prendere posizione rispetto alla propria vulnerabilità significa introdurre una visione autenticamente dinamica della malattia mentale. Il concetto stesso di psicologia e psicopatologia dinamica non può prescindere dalla nozione di conflitto e in particolare dalla sua nozione antropologica.  Secondo Pinel, i principi fondamentali della malattia mentale sono:1) inquadramento nosodromico delle varie forme morbose, 2) parzialità della follia, nessuno è completamente folle; 3) i quadri morbosi derivano dall’interazione della persona con la sua vulnerabilità, e possono dirsi patoplastici e sono l’immagine del conio antropologico. La psicoanalista Gladys Swain scrive "l’alienazione mentale non è mai tale : l’alienato conserva sempre una distanza dalla sua alienazione […] emerge in seguito al vacillamento della capacità del soggetto a sostenersi in quanto tale ".

TRAUMA


Introduzione
Il trauma svolge un ruolo determinante nell’origine e nello sviluppo dei fenomeni patologici, per questo per comprendere tali fenomeni, è necessario ricostruire l’evento traumatico.   Il concetto di trauma fu introdotto da Charcot nelle sue lezioni di isteria. Aveva a che fare con pazienti che avevano subito shock fisici (incidenti o infortuni sul lavoro) e che presentavano sintomi neurologici (di solito paralisi). Con approfondite analisi si riscontrava che questi non corrispondevano a lesioni organiche del sistema nervoso e la loro patologia era legata a una sorta di anatomia immaginaria. Quindi per la sua centralità, sia antropologica che psicopatologica, il concetto di trauma può assumere diversi significati.

Trauma – effrazione
Questo termine ci rimanda all’idea di un urto esercitato su di un organo da parte di un oggetto contendente. La nozione di psicologica di trauma si focalizza sull’effetto di attacco proveniente dall’esterno e che ha un effetto sull’interno e, quindi, compie dei danni all’interno. In effetti la parola "trauma" in greco significa "ferita" : idea originariamente legata alla nozione di trauma psichico è che siamo portatori di una ferita risalente ad epoche remote. L’idea è che una scheggia entri nel corpo e penetri sempre più senza che noi possiamo vederla, come se all’esterno si fosse cicatrizzata, come una ferita che si cicatrizzi e facci si che il nostro organismo si infetti senza che noi ne abbiamo coscienza ma ne vediamo, sulla distanza, gli effetti.
Questa accezione si basa sul principio che il frammento del mando esterno sia penetrato in profondità nel mondo interno condizionando il comportamento della persona la quale è inconsapevole di ciò che la ha assoggettata.

Trauma – mortificazione (del desiderio)
L’interpretazione del trauma risale a Freud negli anni della prima guerra mondiale nel manuale – introduzione alla psicoanalisi – e scriveva: se fanno parte della realtà, tanto meglio; se la realtà non li ha forniti allora vengono elaborati in base agli accenni e completati con la fantasia. Quindi il trauma si realizza quando un elemento del  mondo interno si scontra con la realtà. Questo qualcosa che emerge dal mondo interno può essere un bisogno o un desiderio non necessariamente di natura sessuale . Il trauma è quindi la frustrazione di un bisogno, la mortificazione di un desiderio.  In questo caso il trauma è l’abbandono (Bowlby), l’ospedalizzazione (Spitz) in età infantile e più in generale l’incomprensione del mondo adulto,  la non corrispondenza trai due mondi, tra due  desideri, quello del bambino e quello dell’adulto (Ferenczi). A causa di questi eventi possono svilupparsi degli stati dissociativi. Tra le figure paradigmatiche del trauma Laing inserisce la disconferma : questo termine fa riferimento al comportamento con il quale l’adulto comunica al bambino che le sue emozioni e il senso che questo attribuisce ad un evento sono insensati o irrilevanti. Il bambino diventerà così diffidente verso la realtà della propria esistenza e sarà vulnerabile ad esperienze dissociative.
Al centro del trauma si colloca l’altro, il rapporto con l’altro (non soltanto la sessualità) e il modo con cui viene vissuto il comportamento altrui.

Trauma – emersione ( di senso)
Negli studi sull’isteria, Freud racconta il caso di Emma. Da bambina aveva subito una violenza sessuale quando era in un negozio, da parte del proprietario. Questo evento rimase "nascosto" fino a quando, un po’ più grandicella, entra in un negozio e i commessi fanno dei commenti sul suo abito e uno di questi commenti ha una rievocazione con contenuto sessuale. E’ qui che Emma sviluppa una fobia. Quindi possiamo affermare che abbiamo un evento traumatico, rimosso, e un secondo evento traumatogeno che fa riemergere il primo. Quando il bambino subisce un abuso sessuale o assiste a una scena che per un adulto ha una precisa connotazione sessuale, gli rimane in memoria e genera degli eventi contrastanti fra di loro senza che si abbia una precisa connotazione semantica.  L’evoluzione sessuale favorisce il fenomeno dell’asprès-coup ( dopo il fatto) avendo il soggetto accesso dopo la pubertà.  Quindi vengono favorite delle scene di un passato che erano rimaste senza significato personale.
  
    Trauma – ripetizione
Il trauma tende alla ripetitività. Se un bambino gioca con una bobina legata ad un filo lanciandola avanti e riarrotolandola indietro quando la mamma esce potrebbe voler comunicare un senso di abbandono, che si perpetuerà anche da grande, come ad esempio quando viene abbandonato/a dalla compagna o compagno. Ripete il trauma cambiando gli attori ma non il copione.
La ripetizione, piuttosto che favorire la trasformazione, si caratterizza come una coazione a ripetere.  Fa anche riferimento a modelli operativi interni, come concetto, ed è caratterizzata da aspettative di rifiuto o trascuratezza. Si può anche chiamare in causa l’istinto di morte o di quiete intesa come riduzione dello stimolo rappresentato dal trauma.
   
Trauma – chiave/serratura
Assume notevole importanza il rapporto tra evento e vulnerabilità cioè la struttura psicologica della persona e la qualità dell’evento. Un evento, per essere traumatico, deve colpire la persona nel suo punto debole. Con esperienza si intende il modo personale di vivere  un determinato evento. Parlando di reazioni patologiche Jaspers sottolinea l’importanza che determinati eventi hanno per la persona, il loro valore in rapporto al perturbamento emotivo. Non sempre ci vuole un grimaldello per scardinare una serratura, alle volte basta la chiave gusta. Lo stesso vale per un evento, non per tutti un determinato evento è necessariamente traumatico ma dipende dalle esperienze precedenti. Il trauma che agisce da evento chiave è una esperienza umiliante, soprattutto a seguito di fallimenti morali o sessuali.

 Trauma life event
A partire dagli anni 60 dello scorso secolo, si cominciarono a studiare le correlazioni statistiche tra life events e la depressione. Questi studi evidenziarono che il numero di eventi stressanti che avvengono nei sei mesi precedenti l’insorgenza dei un episodio depressivo è circa tre volte tanto rispetto a persone che presentando delle depressioni saltuarie. Sembra esserci, quindi,  una correlazione tra eventi stressanti e depressioni.
In particolare si sono fatti studi inerenti due patologie: il disturbo post-traumatico da stress e il disturbo di depersonalizzazione. Davidson e Foa mettono in evidenza numerosi fattori estranei come la vulnerabilità genetica, esperienze negative o traumatiche infantili, tratti di personalità, eventi stressanti recenti, caratteristiche del sistema di supporto, abuso di alcool, locus of control esterno vs interno. In particolare abusi sessuali, fisici e emotivi caratterizzano l’anamnesi delle persone affette da disturbo dissociativo o adattativo.

Trauma situazione
Nel " trauma – life event" vien trascurato il ruolo attivo che ha la persona nella costruzione dell’evento stesso . Questo succede nel trauma-situazione dove ogni persona concorre all’evento stesso, al modo di essere di una persona, la configurazione antropologica, come imposta le relazioni con gli altri, come intende la vita , la gerarchia dei suoi valori. La nozione di trauma è quindi il ruolo attivo che a persona fa per aiutare a costruirlo, ma anche passivo in quanto, alcune volte, non c’è intenzione ne tantomeno volontà di crearlo.  Quindi la nozione di trauma mette in evidenza una concettualizzazione di ciò che è l’evento traumatico e di ciò che ha contribuito a crearlo. Ciò che è traumatico è scoprire che alle volte è inscritto nel proprio destino come una sorta di programma etico che contribuisce a creare le situazioni  patogene.

Trauma – rivelazione
L’evento rappresenta dunque un momento di verità. Lo specchio della situazione viene resa visibile, consente di accedere ad esperienze di sé autentiche, svelano cose che fino ad ora ci erano sconosciute o inaccessibili alla coscienza. La persona è posta di fronte alla propria vulnerabilità in condizioni di riflettere su di essa.
Il trauma rivelazione mostra un profilo che fino ad allora era sconosciuto quasi opposto ma che in realtà è complementare rispetto al trauma stesso quasi come un rapporto di carnale intimità.

Trauma senso e temporalità
 Spiegare significa attribuire qualcosa a una causa, cercare gli eventi che hanno portato alla causa. Come dire: mi è esploso il radiatore della macchina in pieno inverno. La causa è perché la temperatura è scesa sotto zero e io non avevo provveduto a mettere l’antigelo nel radiatore. Quindi l’evento (esplosione del radiatore) è dovuto alla mia incuria nel non prevedere eventi che possono verificarsi in un determinato contesto ( mancanza di liquido antigelo).

I fenomeni che così si manifestano nelle parole e nei comportamenti di un paziente acquisiscono senso alla luce di ciò che le è capitato nel passato. Quindi il trauma remoto è la causa della patologia presente. I capisaldi epistemologi sono: cerco di  spiegare il presente tramite il passato è la causa efficiente di quanto accade nel presente la freccia del tempo scorre in senso unidirezionale dal passato al presente. Un evento genera un effetto perché colgo un determinato significato. E’ la relazione tra il primo e il secondo evento che determina il senso  traumatico della vicenda. Nel processo di narrazione il senso dell’evento viene iscritto nella direzione che va dal presente (terapeutico) al passato; nella narrazione il passato è letto alla luce del presente. Quindi la cura è il far emerger il passato e renderlo cosciente

 
Torna ai contenuti | Torna al menu